Può forse risultare un’affermazione sorprendente, ma tra democrazia e informatica esiste una stretta relazione. Per cogliere il senso di questo stimolo di riflessione, è utile volgere lo sguardo al passato, a un’altra vera e propria rivoluzione che ha avuto un effetto moltiplicatore prodigioso nel mondo intellettuale europeo inteso nel senso più lato del termine: l’invenzione e la progressiva diffusione della stampa. Non è affatto un caso che molti storici facciano convenzionalmente coincidere la fine del medioevo con l’invenzione della stampa a caratteri mobili operata da Johannes Gutenberg, piuttosto che con lo sbarco di Cristoforo Colombo in un’isoletta delle Bahamas. E non c’è dubbio che il tipografo di Magonza abbia davvero rivoluzionato il mondo. Come il primo, semplice passo compiuto da Neil Armstrong sul suolo lunare, anche la sua Bibbia - il primo libro ad essere stampato e pubblicato nel 1455 - ha avuto un impatto travolgente sulla storia.
Il saggio intitolato “Le rivoluzioni del libro. L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna” della storica statunitense Elizabeth L. Eisenstein (ed. Il Mulino) va proprio ad analizzare questo impatto, concentrandosi su tre fondamentali momenti di rottura che hanno plasmato il cammino successivo dell’Occidente: il Rinascimento, la Riforma protestante e la Rivoluzione scientifica. Tre momenti in cui l’esponenziale produzione di libri e stampati in generale ha profondamente condizionato il corso degli eventi, con un decisivo effetto moltiplicatore nella diffusione delle idee. La stampa quindi non è solo un mero strumento, un mezzo. Ma ha svolto un ruolo cruciale nell’evoluzione della civiltà.
E dal Rinascimento arriviamo agli anni ‘90 del secolo scorso, con la nascita di Internet e l’inizio della capillare diffusione di supporti informatici, dai primi computer fino ai sofisticatissimi cellulari che tutti abbiamo in tasca. Oggi tenere in mano un libro è un fatto percepito come banalissimo; lo stesso accade con l’accendere il proprio pc per lavorare, svagarsi, leggere, informarsi, comunicare in molti modi differenti. Quando un fatto diventa abituale e quindi scontato, smette di essere materia di riflessione per noi. L’iniziale stupore che - ahimè - molti anni fa abbiamo provato nell’avvertire distintamente come le nostre capacità intellettuali e professionali si potessero enormemente espandere grazie all’ausilio dell’informatica, nelle nuove generazioni cresciute senza il digital divide non è neanche più provato. Eppure il nostro rapporto con il sapere è evidentemente mutato. E - venendo finalmente al nocciolo della questione - chi ancora non ha accesso a questi strumenti parte in una condizione di oggettivo e drammatico svantaggio nella competizione della vita. Una disuguaglianza intollerabile per chiunque abbia un minimo senso della giustizia.
In quest’ottica si comprende quindi facilmente come una disponibilità libera e gratuita di un sistema operativo e di un pacchetto minimo di software (programma di scrittura, fogli di calcolo, broswer, ecc.) diventi un fatto di democrazia e quindi un diritto. E lo è proprio nello spirito del secondo comma dell’articolo 3 della nostra Costituzione: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.